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Castello di Trezzo d' Adda
IL TRAGHETTO DI LEONARDO
Il Traghetto di Leonardo è un particolare tipo di traghetto a mano che prende il nome dal suo presunto inventore, Leonardo da Vinci. L'unico esemplare tuttora funzionante unisce i moli di Imbersago (Lecco) e Villa d'Adda (Bergamo).Imbersàgo è in Provincia di Lecco (Imbersàch in dialetto brianzolo), Villa d'Adda è in provincia di Bergamo , (Ela d'Ada in dialetto bergamasco, e Vila o Vela d'Ada in dialetto brianzolo). Sono stati Paesi di confine fra Ducato di Milano e la Serenissima, fra Brianza lecchese e Bergamasca.Entrambi i comuni nel passato afferivano od hanno afferito alla Pieve di Brivio.
Nonostante il nome, non v'è certezza che Leonardo sia il reale
inventore, di sicuro si sa che studiò a lungo il progetto nel periodo
che passò a lavorare per
Ludovico il Moro, signore di Milano.
In seguito ai suoi studi disegnò un traghetto uguale in tutto e per tutto a quello esistente tuttora ad
Imbersago. Gli studi vennero effettuati dall'inventore durante il proprio soggiorno a
Vaprio d'Adda sotto al
Girolamo Melzi, negli anni
1506-
1507; il disegno che ne risultò, datato 1513, è stato incluso nel
Codice Windsor e viene conservato nell'
omonimo castello in
Inghilterra.
Il famoso disegno del "porto della Canonica di Vaprio" raffigura il
traghetto (detto "porto") vincolato ad una fune, modello comune a tutto
il corso del fiume.
Nel novecento, durante la gestione dei Castelbarco, esisteva una sola licenza di
pesca, che veniva assegnata dai conti al gestore del traghetto, Pietro Magni, che fungeva anche da
guardiapesca. Negli
anni cinquanta
Costante Magni inserì un disco tra i due rulli del traghetto. In questo
modo il cavo non avrebbe più potuto scorrere verticalmente, ferendo
accidentalmente qualcuno. Vennero anche aggiunti dei tiranti al palo
presente sulla piattaforma.
Tra le due sponde del fiume è stato teso un cavo d'acciaio, a cui è
affrancato il traghetto. Il traghetto trae il movimento dalla corrente
del fiume, rendendo inutile l'uso di un motore. L'esemplare tuttora in
funzione permette di portare fino a 100 persone e 5 automobili, grazie
alla superficie di 60
mq, e viene fatto funzionare da una sola persona. Il manovratore opera su un
timone per orientare il traghetto mentre, con l'uso di un bastone in ferro, agisce sul cavo d'acciaio dando la spinta iniziale.
Non appena i due scafi si trovano in posizione obliqua, la corrente ne permette la traversata.
Il traghetto di Olginate aveva un funzionamento leggermente
differente, essendo ancorato ad un palo conficcato al centro del fiume.
In questo modo il traghetto faceva un movimento a pendolo, costringendo i
manovratori a completare a remi la traversata.
PONTE DI PADERNO D ADDA
CRESPI D ADDA
Crespi d’Adda è stata costruita nel 1877 dalla famiglia Crespi. Appartiene alla provincia di Bergamo. La città è vicina al fiume Adda.
Cristoforo Benigno Crespi decise di costruire delle case per i suoi operai e le loro famiglie, allestendo un cotonificio. Sul fiume Adda è stata costruita anche una centrale idroelettrica
, perciò le case furono dotate di un impianto di corrente. Nel paese erano presenti servizi pubblici, come scuole, ospedali, uffici e un cimitero.
Il cimitero è particolare, grazie al grande monumento dedicato alla famiglia Crespi, cioè una piramide costruita al centro del cimitero. Attorno alla costruzione, ci sono le tombe delle famiglie più ricche, molto più elaborate rispetto a quelle più povere, segnate solo da una semplice croce di pietra.
Dal 5 dicembre del 1995, Crespi entrò a far parte della lista del patrimonio dell'umanità dell'UNESCO (World Heritage Sites).
Storia
Il villaggio in stile
Liberty, venne costruito durante l'ultimo quarto del
XIX secolo dalla famiglia
Crespi, che scelse quest'area, vicina al fiume
Adda, per costruire una
tessitura. La fondazione si fa risalire al
1877, anno in cui il
bustocco Cristoforo Benigno Crespi acquistò 85
ettari di terra dai comuni di
Capriate San Gervasio e
Canonica d'Adda. I lavori di costruzione vennero affidati all'
architetto Ernesto Pirovano e all'
ingegnere Pietro Brunati.
L'ambizioso progetto di Crespi prevedeva di affiancare agli
stabilimenti -similmente a quanto già accadeva nell'Inghilterra della
rivoluzione industriale- un vero e proprio villaggio che ospitasse gli
operai della fabbrica e le loro famiglie. Il neonato insediamento venne
dotato di ogni struttura necessaria: oltre alle casette delle famiglie
operaie (complete di giardino ed orto) e alle ville per i dirigenti (che
vennero costruite in seguito), il villaggio era dotato di
chiesa (copia identica, ma più piccola, del
Santuario di Santa Maria di Piazza di
Busto Arsizio),
scuola,
cimitero,
ospedale, campo sportivo,
teatro, stazione dei pompieri e di altre strutture comunitarie.
Il cimitero di Crespi d'Adda, realizzato dall'architetto
Gaetano Moretti (cui i Crespi avevano commissionato anche i lavori di realizzazione della
centrale idroelettrica di Trezzo sull'Adda),
è dominato dalla tomba della famiglia Crespi: una piramide con scalone
monumentale, di stile eclettico e di gusto esotico, affiancata da due
ampie esedre che sembrano idealmente simboleggiare l'abbraccio della
famiglia Crespi a tutti gli operai del villaggio. Nel prato di fronte al
famedio dei Crespi vi sono piccole croci disposte in modo ordinato e
geometrico, mentre le tombe più elaborate sono allineate lungo i muri di
cinta, memoria della stratificazione sociale della comunità. Negli
ultimi decenni, tuttavia, il cimitero ha perso parte del suo originario
rigore: tombe e monumenti recenti si sono sostituiti o aggiunti alle
originali sepolture. Il cimitero è tuttora in funzione, caro alla
comunità locale.
[
modifica] Crespi e l'Unesco
Intorno all'inizio degli
anni 1990
nel Comune di Capriate San Gervasio venne proposto un piano regolatore
che prevedeva nuove edificazioni nell'area del villaggio operaio. Il
Centro Sociale Fratelli Marx (CSFM), una associazione culturale locale
conscia dell’eccezionale valore della company town, volle contrastare
questa volontà politica, decidendo di tentare l’iscrizione del sito di
Crespi d’Adda nella Lista del Patrimonio Mondiale Unesco. Il CSFM
costituì - con Legambiente e alcuni abitanti del villaggio - la Consulta
per Crespi, che iniziò un’opera di informazione e pressione sui
politici e gli organi di informazione locali per scongiurare
l’applicazione del piano urbanistico. L’operazione di lobbying ebbe
successo: l’Amministrazione si convinse a non realizzare le edificazioni
previste nell’area storica del villaggio e addirittura decise di
appoggiare la richiesta di inserimento nella Lista. Nel 1994 incaricò
formalmente il CSFM di redigere il dossier di nomination da presentare
all’Unesco: gli estensori furono Andrea Biffi ed Enzo Galbiati (con
Pedroncelli ed Emilio Cornelli). La nomination venne presentata nel
corso di un convegno internazionale a cui partecipò tra gli altri
Giancarlo Riccio, ambasciatore diplomatico e all’epoca Condirettore del
Centro per il Patrimonio Mondiale UNESCO di Parigi (che si sarebbe
rivelato determinante per l’inserimento di Crespi nella Lista). Nel 1994
i siti italiani candidati all’ingresso nel Patrimonio Mondiale furono
il centro storico di Siena, Napoli, Ferrara e il villaggio operaio di
Crespi d'Adda (tutti e quattro furono poi inseriti nella lista). Un po'
di folklore: pare
che Giancarlo Riccio – che faticò non poco a convincere la Germania ad
accettare quattro siti italiani in una sola volta – per dare una mossa
al comitato napoletano per la nomination (il cui principale sponsor fu
Carlo Azeglio Ciampi) nel corso di una telefonata abbia urlato: "Datevi
una mossa! Quattro ragazzetti spettinati di Crespi hanno fatto meglio di
voi, rappresentanti di una delle maggiori città italiane…"
Il
5 dicembre 1995 il
Villaggio operaio di Crespi è entrato a far parte della Lista del
Patrimonio dell'umanità dell'
UNESCO. È uno degli esempi meglio conservati di
villaggio operaio industriale che esistano al mondo. Contrariamente a siti analoghi, la parte industriale è stata funzionante fino al
2004 e le abitazioni sono tuttora utilizzate.
CONCESA
Terra Milanese della Martesana,
tra la rocca di Trezzo e quella di Vaprio,sulla riva destra del fiume
Adda,Concesa domina la piccola valle che scende scoscesa e selvaggia per aprirsi
improvvisa in verde terrazza sino al fiume. Paesaggio naturalmente affascinante
e splendido,mutato ma non alterato dalla moderna tecnica del naviglio Martesana.
Una manciata di case padronali nei primi secoli del secondo millennio dell'era
cristiana,un castello sullo sperone roccioso a picco sul fiume ed una chiesa
parrocchiale,testimonianza di fede e devozione mariana. Il 15 settembre 1520 il
parroco Giovanni Pietro Qualea inaugurò la nuova chiesa parrocchiale costruita
nello stesso luogo e sotto la medesima invocazione della Vergine Assunta della
precedente. Qui scaturiva davanti a una devota immagine una fonte assai famosa
per le virtù miracolose di risanare gli infermi. Non si sa con precisione in
quale anno ma la sorgente si inaridì,qualche tempo dopo più in basso,sotto la
costa,riapparve una nuova sorgente e si costruì un cappelletta dedicata alla
Madonna. Vista la devozione che la popolazione aveva nei confronti della Madonna
dopo diverse vicissitudini le 1621 venne posta la prima pietra per la
costruzione di un santuario,ci vollero sei anni per terminare i lavori fu
costruito in stile barocco lombardo,venne abbellito con marmi,quadri,affreschi e
con tutti gli arredi e suppellettili necessari per il mantenimento del culto
divino. Finalmente,il cardinale trasferì la miracolosa immagine della Madonna
dalla modesta e primitiva cappelletta alla nuova e più degna sede marmorea
sopra l'altare maggiore del nuovo santuario era il 3 settembre 1641.L'amore e la
venerazione che da lunga data nutriva per l'Ordine dei Carmelitani Scalzi di
Santa Teresa,indussero il cardinale Monti a mettere nelle mani dei Padri il più
caro tesoro che è l'immagine miracolosa e la chiesa di Nostra Signora con la
promessa della fondazione di un convento di detta religione.
La chiesa in stile barocco formato da una sola navata, a capo del quale si erge
l'altare maggiore ai due lati si aprono quattro cappelle. L'altare maggiore,
composto da marmi policromi,racchiude l'immagine della Vergine col Bambino. E'
adornata da quatto statue di angeli esultanti che fanno corona alla loro Regina.
Verso la fine del secolo scorso,il presbiterio dell'altare maggiore fu
arricchito da due affreschi: la presentazione di Gesù al Tempio e la salita al
monte Calvario. Anticamente il santuario era ricco di preziosi paramenti,donati
dai Sig. di Milano, ma durante le guerre napoleoniche andarono persi sei
candelabri e cinque lampade d'argento, ma prima ancora nel 1658, per opera dei
Lanzichenecchi e dopo sotto l'Imperatore Giuseppe II D'Austria, si perpetrarono
sottrazioni che spogliarono il santuario di ogni suo bene.
CANONICA D ADDA
FARA GERA D ADDA
ponte di legno sul fiume Adda
Cornate d’Adda
CASSANO D ADDA
A Vaprio d'Adda, in provincia di Milano, sorge
lungo il Naviglio della Martesana ed il fiume Adda, la maestosa Villa
Castelbarco, immersa in una stupenda cornice naturale di ottocentomila
metri qudrati di parco dove è ancora possibile scorgere cervi e daini in
libertà. Struttura privata in grado di rispondere alle esigenze di
funzionalità del presente nell'elegante cornice architettonica del
passato.
L'inizio dell'insediamento è databile intorno
al 1100 circa, periodo in cui, secondo alcuni studiosi in questa zona fu
costruito dai frati Cistercensi un convento in seguito alla distruzione
di quella che potrebbe essere definita la sede "centrale", risalente al
secolo VII, presumibilmente situata dove oggi sorge la chiesa di San
Colombano in Vaprio d'Adda.
La struttura originaria sembra infatti essere assai semplice ed
appartenere quindi ad una presenza monastica riconducibile alla
tradizione austera promossa dai Discepoli di San Colombano (540 - 615),
che diffondevano il messaggio del Santo Irlandese.
L'architettura della Villa così come è ancora
leggibile oggi, permette di individuare i vari corpi di fabbrica
disposti attorno al cortile adiacente alla chiesa che, diviso da un
duplice porticato, poteva essere il chiostro a volte doppio. Affiora
così il senso di un legame unitario che accentra attorno al luogo di
culto funzioni diverse: la sala capitolare, il refettorio, i
dormitori... L'utilizzazione monastica dell'area continuò
presumibilmente anche dopo la creazione della residenza nobiliare.
A testimonianza di ciò sono da citare: una visita pastorale alla
comunità monastica di Padre Leonetto Clavonio nel 1570, inoltre
informazioni cartografiche riportate in una mappa storica del '600 che
illustra il percorso del Naviglio della Martesana e che individua a Sud
di Concesa ed a Nord di Vavero il "Monastero".
Nel '600 la residenza che "sorge aull'aprica altura di Monastirolo
donde l'occhio s'allegra d'un ampio e magnifico prospetto" (Cesare
Cantù), diviene una modesta casa di campagna detta "La Contessa". Fu il
Conte Giuseppe Simonetta, allorchè entrò in possesso del complesso
all'inizio del '700, a trasformare l'antico monastero in "Villa delle
Delizie". (Madame De Bocage visita in quell'epoca la villa ed il
giardino della sua amica Contessa Simonetta a Vaprio dalla quale si gode
una vista che è un "admirable tableau").
Risale a quell'epoca la ricostruzione della Chiesetta con
campanile e la realizzazione dell'esedra, nonché la creazione del
cortile di servizio. Della Chiesetta, dice lo studioso Tencajoli che
visitò la villa nel 1908 e pubblicò un articolo dedicato al Monastero
sulla Rivista "Ars et Labor": "... pulita, fresca, artistica, vero tipo
della cappella padronale d'altri tempi. Lo stile interno è
prevalentemente barocco con buoni affreschi e stucchi alle pareti ed al
soffitto; una profusione di marmi dei più svariati colori getta una nota
gaia che piace e fa strano riscontro ai numerosi quadri di primitivi,
tra i quali un'impressionante Crocefissione...... Nel mezzo della
chiesuola riposano le ceneri del Conte Giuseppe Simonetta, fondatore
della villa, assieme a quelle del pronipote Giuseppe Castelbarco....."
Un riferimento scientifico attendibile della
consistenza del complesso nella prima metà del '700 è fornito dalla
mappa del territorio di Vaprio - Pieve di Pontirolo - redatta dal
Geometra Gio Batta Molfi per la "Misura generale del Nuovo Censimento"
nel 1721 (Catasto Teresiano). In quel periodo il complesso di
Monasterolo era di proprietà del Conte Giuseppe Simonetta.
La chiesetta era distinta dal corpo principale organizzato intorno
a due cortili, il primo dei quali (ad est) di pianta quadrata, il
secondo, aperto sul lato ovest, di pianta rettangolare. Importanti
considerazioni si possono fare esaminando l'assetto territoriale della
zona riportato nella tavola catastale:
1. la via per Concesa è tangente al palazzo ed alla Chiesa;
2. i giardini francesi sono collegati ad est verso il Naviglio della Martesana;
3. sulla sponda del Naviglio è segnalato un fabbricato definito "sito delle fornaci del Conte Giuseppe Simonetta".
Con i Castelbarco la villa assunse il suo massimo splendore. Il
Conte Cesare, amante delle belle arti e delle lettere, l'ampliò con
saloni di rappresentanza, raddoppiò l'ala Sud (limonaia), edificò sulla
spianata a lato del terrazzo due palazzine in stile impero adibite l'una
a Museo, l'altra a Teatro, e realizzò le Gallerie sotterranee.
La villa fu resa "magnifica e degna sede per ogni sorta di comodi e
di sontuosità". Anche il parco di oltre 1200 pertiche ebbe le sue cure,
intersecato da laghetti, da larghi viali fiancheggiati da statue, da
tempietti, da fagianiere nel gusto romantico dell'epoca.
Scrivono di Monasterolo: L'Abate Giuseppe Barbieri in una epistola
diretta al Conte Cesare Castelbarco dopo una sua visita all'incantevole
sito: "...dove il Brembo si marita con l'Adda, alta risurge nobilissima
villa, il cor mi prese d'alto diletto.... Ma l'eccelsa magion che a
dignitosi ozi t'è grata, di cotante ornasti meraviglie così, ch'altro o
simile dall'Olona al sebeto io mai non vidi...."
Lo storico Cesare Cantù - Storia di Milano e Sua Provincia - nel
1858: "....La Villa Castelbarco (Monastirolo) è una delle più notevoli
di Lombardia. In essa ammiransi belle sale adorne con lusso, ad una
delle quali può darsi il nome di museo per la locazione di buone
pitture, rari animali, curiose anticaglie e bizzarrie. Stupende sono le
gallerie sotterranee tutte a mosaici, disposte con tanta varietà di
gusto e finezza d'arte, che ne risulta il più gradito piacere
all'occhio.
Ivi
son profuse in un cornicione quelle grandi conchiglie de' mari
tropicali, di d'accanto, e quando ti spagliano dinanzi in minutissima
pioggia. L'annesso giardino misura oltre 1200 pertiche ed è intersecato
da vie comode ai cocchi, ed ornato di cascine, tempietti, uccellerie,
fagianiere, ed altri edifizi pittoreschi. Cinti da tre parti di muro,
scende l'altra verso il Naviglio, sul quale è un ponte che mette ad una
penisola tra esso e l'Adda. Dal suo terrazzo godonsi de' bei panorami
dei villaggi del Bergamasco, e dell'ex contrada della Martesana".
Nel secondo era originariamente ospitata la
pinacoteca trasformata nella prima metà del '900 in bagno termale. Le
gallerie decorate, fatte scavare dal Conte Carlo Castelbarco negli anni
1835 - 1838 rappresentavano una delle grandi attrattive della Villa.
Sono composte da parecchie sale prospicienti una vasta terrazza cha dà
sul Naviglio e sull'Adda. Così le descrive lo studioso Tencajoli
all'inizio del secolo: "Stupende sono le gallerie sotterranee tutte a
mosaici, disposte con tanta varietà di gusto e finezza d'arte, che ne
risulta il più gradito piacere all'occhio. Ivi sono profuse in un
cornicione quelle grandi conchiglie de' mari equatoriali, di cui una
sola considerasi ornamento alle nostre sale. Vi si incontra un oratorio
parimente a mosaico, ed a fini marmi, con oggetti preziosi per
isquisitezza di lavoro e per antichità. Scorrendo quelle gallerie vedi
copiosi getti d'acqua, che or ti si presentano in belle cascate, ora in
limpidi zampilli, e quando ti si spicciano improvvisi d'accanto, e
quando ti si spagliano dinanzi in minutissima pioggia". "....nella sala
romana, tra numerose antichità provenienti dagli scavi di Roma e dal
Lazio, si trovano i busti di Elena Albani e del Duca Litta di lei
consorte; in un angolo si vede anche il busto di Clemente XI (Francesco
Albani) e quelli degli imperatori romani Commodo, Teodosio, Lucio, Elio,
Aurelio, lapidi funerarie, frammenti ecc. Nella sala marittima, con le
pareti ricoperte di conchiglie rarissime, si vede la statua del Dio
Nettuno, e quella pare, di un re longobardo oppure di un Doge di
Venezia, ed una statuetta di un fanciullo di casa Castelbarco.
Un
trofeo romano serve come lampadario. Nella sala raffaellesca primeggia
una meravigliosa statua di Ercole col corno dell'abbondanza strappato da
lui al fiume Achelòs: statua che si erge sopra un'ara romana di molto
pregio. In questa stessa sala si vedono i busti di Raffaello Sanzio, di
Giulio Cesare, di Cicerone, di Livia, di Messalina ecc; medaglioni coi
profili degli imperatori Galba, Britannico ed altri in pietra arenaria
di due visconti signori di Milano. Nella sala egizia si ammira una deità
dell'epoca dei Faraoni, con la testa di leone ed il rimanente del corpo
in forma umana, e di rispetto una tomba ed un cippo con l'iscrizione in
egizio antico, alcune sfingi e colonne istoriate.
Nella sala etrusca spicca il busto di Cleopatra, che sarebbe per
altro da porsi nella sala precedente; disposti in ordine su tavoli di
pietra e sul pavimento, si vedono molti vasi di terracotta, otri,
stoviglie ed altri oggetti trovati negli scavi toscani.
Dopo queste cinque sale, si entra in un
Oratorio sul cui altare poggiano quattro candelabri di marmo, con in
mezzo una croce di lapislazzuli, nonché una graziosissima testa di
bambino, pure in marmo, con un pugnale conficcato nella gola. Sotto il
tavolo vi è un altro bambino in marmo finissimo, lavoro cinquecentesco.
Uscendo dall'Oratorio, si incontra un corridoio con adiacenti
piccoli sotterranei, in fondo al quale esiste una piccola cascata
artificiale.
Nei muri di questi piccoli vani sono incastrati medaglioni - busti
dei dodici Imperatori della famiglia Cesarea. Nel mezzo sorge un
lavello con getto d'acqua, con attorno piccoli delfini che irrorano
acqua, il tutto di sorprendente effetto. Quindi una lunga e stretta
galleria, adorna di busti e statue, congiunge questi sotterraneiafico
circa la consistenza della tenuta, è fornito dalla "Mappa del Comune di
Vaprio d'Adda - Provincia di alle serre dove crescono rigogliose le
orchidee e fruttificano gli ananas. Un secondo riferimento cartogrMilano
del 1866 (Catasto del Regno d'Italia).
Il complesso principale si presenta pressochè
come ai giorni nostri, caratterizzato dal sistema dei tre cortili, con
l'ala raddoppiata (limonaia) e i giardini all'italiana lungo l'ala sud
stessa.
Risalgono alla prima metà dell'800 le stalle a Nord (denominate
Arsenale), il maneggio coperto e le scuderie, nonché le serre, la
Fasanera e la Cascina Cartiera. La via per Concesa segue ancora il
tracciato del '700 tangente al complesso; mentre compaiono il viale dei
Tigli, che collegava il palazzo alla strada che "da Grezzago mette a
Vaprio" ed il viale che dal piazzale col Teatro ed il Museo conduce al
cancello dei Leoni in Località Cascine San Pietro.
Risale agli inizi degli anni 1950 circa la rettifica del tracciato
di Via per Concesa, voluta dai Conti Quintavalle, proprietari della
villa fino al 1975, dopo i Massimini che subentrarono a loro volta ai
Castelbarco.
La tenuta Castelbarco Albani si presenta costituita da zone verdi
omogenee, distinguibili per organizzazione e destinazione d'uso.
Entrando da quello che oggi è diventato l'ingresso principale (lato
ovest) una lunga linea di tigli (Tilia Cordata o Tomentosa) si sussegue
in maniera ordinata lungo tutto il percorso. Originariamente
quest'ultimo comprendeva anche il tratto oltre il muro che oggi circonda
la tenuta Castelbarco.
Tale divisione fu voluta dai Conti Quintavalle una volta
entrati in possesso della proprietà nel 1950 circa. Oltrepassando il
cancello ha inizio il parco. Esso presenta l'organizzazione tipica del
giardino all'italiana. Lateralmente ai tigli si apre una vasta zona
verde oggi utilizzata per la coltivazione del foraggio.
Anticamente il Conte Bruno Antonio Quintavalle aveva
organizzato questo stesso spazio come circuito ippico creando in esso
degli ostacoli naturali di siepi di ligustro (Ligustro Ovalifolium) in
parte ancora oggi visibili. Prospiciente il lato sud della villa
troviamo ancora il giardino all'italiana.
Quattro magnolie della Virginia (Magnolia Grandiflora) di
circa duecento anni ciascuna, racchiudono uno spazio di terreno
pianeggiante. Siepi di bosso (Buxus Sempervirens) circondano parterre
erbosi dalla forma geometrica. Al centro, fra due maestosi cipressi
calvi (Taxodium Distichum) di circa duecento anni, una fontana di pietra
sembra voler suggerire, ancora di più, l'idea di ordine scenografico
dell'insieme. Le dimensioni non interrompono la visione prospettica del
viale dall'interno della villa ne, guardandolo dall'esterno, il disegno
della facciata. All'origine l'ingresso nobiliare era da questa parte.
Le carrozze, dopo aver percorso il viale da sud, ed essere
passate fra le due costruzioni gemelle (teatrino e bagno termale), si
fermavano presso la fontana, vicino alle cosiddette "Sale del Conte" (le
più sontuose dell'intera residenza). Questo percorso così studiato,
voleva creare meraviglia e stupore nei visitatori che giungevano alla
villa (il colpo d'occhio prospettico era indubbiamente di grande
effetto).
Parallelo all'ingresso nobiliare vi è tuttora una strada più
stretta lungo la quale crescono dei gelsi penduli da innesto la cui
funzione è decorativa. Alla stessa altezza, ma sul lato opposto,
circondata da un muro di divisione è situato l'ex orto botanico.
Nell'Ottocento gli edifici oggi visibili al suo interno erano utilizzati
come serre. Accanto al teatrino sorge un imponente gruppo di bambù
(Bambu Metoke) le cui radici hanno circa duecento anni. Questa massa
verde, compatta e svettante (gli esemplari maggiori raggiungono
un'altezza di circa 12 metri), aveva in epoca passata una funzione
ornamentale e di uso edilizio: i bambù, infatti, venivano impiegati
nella costruzione di impalcature e strutture di sostegno.
Nel tratto orientale del parco il paesaggio muta: alla
geometria illuminista del giardino all'italiana si contrappone la
suggestione romantica del giardino all'inglese, nel quale la vegetazione
si presenta trasformata secondo un'idea primordiale della natura. Lungo
il percorso infatti, si può notare il netto cambiamento della
vegetazione sia per un evidente declivio a forte pendenza verso il
naviglio Martesana, sia per la maggiore presenza d'acqua nel terreno
(oltre al naviglio in lontananza scorrono anche il Brembo e l'Adda).La
scarpata presenta alberi ad alto fusto chiamati dagli abitanti della
zona "bagolari o spaccasassi", specialità botaniche originarie
dell'Australia, per questa loro capacità di penetrare con le radici nei
terreni più sassosi.
La funzione di questi alberi, oggi come allora, era quella
di evitare che la scarpata cedesse per effetto delle piogge. Attorno
alla piscina, di costruzione più recente, si trova uno splendido gruppo
di faggi tricolor e penduli (Fagus Selvatica Purpurea e Tricolor), oltre
ad un esempio di magnolia coreana "denudata" (Magnolia Conspicua).
Quest'ultima, pur essendo circondata dal cemento della piscina, ha
raggiunto un'età di circa cento anni. In tarda primavera, il momento
della fioritura offre uno spettacolo incantevole per colore e fragranza.
Due splendidi agrifogli di cento anni ciascuno, dalle
maestose proporzioni, concludono il primo tratto della scarpata che, da
questo punto in avanti, prosegue ad un livello più basso, sempre in
discesa. La disposizione raggruppata di alberi della stessa famiglia ha
la funzione di facilitare la loro riproduzione.
Ad un'attenta osservazione si potrà notare che il terreno
attorno a determinati gruppi di alberi è disseminato di minute
pianticelle appartenenti appunto alla stessa specie. In questa parte del
giardino sono da notare due querce (Quercus Ilex) secolari. Purtroppo
un fulmine ne ha colpita una. Proseguendo nel cammino, mentre a destra
si susseguono alberi centenari quali: tigli (Tilia Tomentosa), tassi
(Taxus Baccata), camaciparis (Chamaecyparis), a sinistra ci accorgiamo
dell'intervento artificiale dell'uomo nel paesaggio: archetti,
sottopassi, gradini in tufo, creano uno scenario pittoresco e nello
stesso tempo, inserito nella natura. L'insieme arboreo crea una penombra
suggestiva ed in completo contrasto con la luminosità solare del
giardino all'italiana.
In prossimità del naviglio, oltrepassato il ponticello di
ferro, sulla sinistra è situata una varietà di cedro (Cedro Atlantica)
interessante per la sua forma a candelabro, ottenuta con anni di
paziente lavoro. Per queste caratteristiche e per le sue proporzioni
eccezionali, tale albero rappresenta forse l'esemplare più rilevante, da
un punto di vista botanico, di tutta la tenuta Castelbarco. Al suo
fianco è situato un gruppo di sempreverdi della stessa famiglia (Cedri
Deodara) che ha la funzione di proteggere dai venti da nord il Cedro
Atlantica. Prima di risalire alla Villa incontriamo una zona boschiva
recintata denominata "Il Bosco".
Un tempo essa era la riserva di caccia dei signori
Castelbarco, oggi invece vivono all'interno, protetti ed in completa
libertà, animali di diverse specie, in particolare circa 80 daini che
osservati nel loro habitat naturale, offrono uno spettacolo fiabesco ed
un raro esempio di conservazione faunistica.
L'impianto vegetale di quest'area comprende: ciliegi,
robinie d'innesto, querce rubra e roverella, carpini bianchi, castagni,
allianto infestante, oltre a specie già descritte precedentemente
(bagolari, cedri deodara, camaciparis ecc.). Tutta la tenuta
Castelbarco, oggi, è sotto tutela del Parco dell'Adda.
L'idea
di utilizzare l'ombra proiettata da uno stilo (gnomone) per misurare il
trascorrere del tempo, è così vecchia che va più indietro della storia e
si perde nella preistoria dell'uomo.
Nel corso delle
varie epoche le meridiane e gli orologi solari in genere, si sono
modificati nella tecnica, negli scopi per cui erano costruiti, nelle
decorazioni e nei motti che li accompagnavano, e costituiscono quindi
un'importante testimonianza della storia e del costume per epoca e per
zona geografica.
Ai giorni nostri,
l'uomo sembra aver dimenticato questo tipo di strumento, almeno a
giudicare dal fatto che molte meridiane non sono manutenzionate, mentre
altre spariscono nel corso di restauri affrettati, mentre è raro
assistere alla costruzione di nuove. Eppure questo strumento continua ad
esercitare un grande fascino ed è dotato di caratteristiche persino…
moderne, perché non consuma energia, non si consuma, non ha bisogno di
pile, non inquina.
Molto interessanti sono anche i motti
riportati su alcune meridiane, spesso in latino ed altre volte nella
lingua del posto. Un motto tra i più ricorrenti è 'hora non numero nisi
serenas', mentre un altro che fa molto riflettere è 'vulnerat omnes
ultima necat'.
La meridiana di
Villa Castelbarco appartiene a quel tipo - peraltro tra le più diffuse -
dette ad ore francesi (cioè contate come le attuali) nelle quali il
grafico ha l'aspetto di un ventaglio capovolto ed il Mezzogiorno è
indicato da una linea verticale evidenziata, in questo caso da una
freccia.
Questo tipo di meridiane sono state introdotte
nel 1700 da leggi Napoleoniche con l'idea di sostituirsi ad altri
sistemi locali.
La meridiana di Villa Castelbarco
consente di leggere le ore da prima delle ore 9 ad oltre le ore 15,
apprezzandone facilmente i dieci minuti; consente di intuire anche le
stagioni grazie alla linea trasversale che è la linea equinoziale, la
linea cioè dove il sole si muove in due particolari giorni dell'anno che
sono l'Equinozio di Primavera (21 marzo) e l'Equinozio d'Autunno (23
settembre) e la linea più alta, indicata a destra con il segno
stilizzato del Capricorno che sta ad indicare il Solstizio d'Inverno (22
dicembre) e l'indicazione all'estrema sinistra del segno del Cancro per
indicare il Solstizio d'Estate (21 giugno).
Certo,
ci sarebbero ancora molte cose da dire sulle Meridiane in genere e su
questa in particolare, ma l'obiettivo di queste righe è di invitare chi
ha l'occasione di visitare Villa Castelbarco a volersi soffermare,
magari solo per un attimo, ad osservare la Meridiana e lasciarsi un po'
affascinare dalle sue linee apparentemente semplici ed essenziali ma
piene di contenuti.
Vaprio d'Adda Lapide a Leonardo Da Vinci
In questa villa monumento nazionale
LEONARDO DA VINCI educava all'arte Francesco Melzi
discepolo prediletto erede dei suoi manoscritti.
Francesco e Lodovico Melzi D'Eril
vollero così ricordare il IV centenario vinciano.
MDXIX --- MCMXIX
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